sabato 31 gennaio 2015

La cultura dei tao e la memoria contadina in Antonio L. Verri


La cultura dei Tao in una fotografia di Santa Scioscio



di Oronzina Greco

La scritto “ La cultura dei tao”, del 1986, composto per il catalogo pubblicato in occasione della mostra La cultura contadina” curata dal distretto 42 di Maglie, mi spinge ad interrogarmi su quanto Antonio L. Verri abbia preso e interiorizzato dalla cultura contadina nella quale era nato e cresciuto (a Caprarica in provincia di Lecce).
 C’è, in questo testo(dalla scrittura piana e di agevole lettura) , la nostra gentecon le sue aspettative e le sue malinconie,la madre con i suoi ammalianti racconti e i luoghi con le loro misteriose bellezze, popolatida esseri fascinosi e dispettosi. La gente di qui viene definita da Verri “ stupenda” e presenta “l’umore di questa terra, ad essa confida i suoi mali, le sue gioie, i suoi dubbi, le sue ondulate tristezze”. I luoghi sono “paesi che sembrano piantati tra gli ulivi, paesi dai pozzi profondi, dalle infinite cisterne per grano, per olio, per tutto…”.
Cito solo questi, ma diversi sono i passi che parlano di gente e luoghi e la sensazione che ne ricavo, leggendo ciò, è che Antonio abbia colto il senso profondo della terra che influenza e plasma il pensiero degli uomini e soprattutto il pensiero di chi sa raccogliere, custodire e far rivivere echi e segreti che essa racchiude.
Dalle narrazioni di questa gente, egli coglie lo spirito autentico e profondo, il valore immenso e immutabile, il respiro della terra e lo fa diventare mitico.
La vita del piccolo paese contadino di Caprarica di Lecce, archetipo della vita di tutti i paesini, specialmente del Sud, in un certo senso lo ispira. Egli osserva e descrive tutto: gli ulivi, i rigidi inverni, il pane fatto in casa per distribuirlo il giorno di Sant’Antonio, la doppia cotta di pane per i matrimoni, la fiera di San Marco, le squadre per la monda… Da tutto questo prende l’avvio e, su questo, Antonio Verri costruisce, costruisce il nuovo.
Dalla letteratura di questa gente egli prende “pane” e nutrimento per la mente, per farlo crescere e vivere in altri posti e contesti, per creare stupore e organizzare eventi che aggregano e fanno discutere. “Carismatico tessitore di nuove trame di fili rosso Salento” dice di lui Raffaele Nigro in un articolo su “La Gazzetta del Mezzogiorno”.

Osserva e ascolta! Ascolta i racconti, le storie di questa cultura contadina, la quale comunica con la forza, l’efficacia, il colore e il calore dell’oralità senza la mediazione della scrittura.

Scrive Verri: “Durano conti…Parole rugose, cantilenanti, sogni, costruzioni le più audaci (da far impallidire scrittori di professione)… Ecco, durano i conti… e ci sarà sempre un povero favolista a narrarvi di un cuecolo di neve che molto tempo fa dei ragazzi festosi, goliardi, furenti, cominciarono ad appallottolare nella piazza bianca” .
Nelle affabulazioni e con le affabulazioni, in questa cultura, passa anche la vita vera perché, oltre la durezza del lavoro, il sudore della fronte e il sacrificio, c’è sempre la ricerca di un “altrove”, c’è sempre, in questo universo, la tensione di una ricerca, pur nell’apparente immobilismo, fosse anche solo per mitigare un’esistenza grama e difficile, per rendere più accettabile la fatica del vivere quotidiano.
Cogliere, respirare, vivere, interiorizzare le storie di questo mondo contadino attraverso la madre perché “è lei la depositaria, è lei la rappresentante di questo mondo” è stato naturale, per Verri, nel tempo della sua infanzia e adolescenza così come è stato naturale far tesoro di tutte le storie che “sono cariche di quella lusione, …storie intorno al tavolo, col fuoco, …” e recuperarle, trasfigurandole, e inserirle, mitizzate e trasformate, metaforiche e nascoste, negli scritti successivi.
Osserva, ascolta, trasforma. Crea sogno e immaginazione.
“Parlava, la mar, di freddo, di neve, mi raccontava la storia dei tre giorni della merla…io ci legavo il pane, la meraviglia della pasta che cresceva”.
La cultura della madre che è la cultura del mondo contadino di questo nostro Salento dell’altro ieri, conserva e tramanda, accanto ad elementi di vita materiale, anche elementi  favolistici come i tao, spiritelli che vivono a mezz’aria, buoni e dispettosi che incutono leggeri timori ma anche rispettose riverenze, elementi di cui ci si fida e che sono dappertutto: sui comignoli delle case, vicino al fuoco, sui campanili dei paesi. I tao, accompagnano anche le storie dei “narratori di cunti”, le quali mitigano il dolore, i dolori della gente comune,  facendola volare con la fantasia  verso una vita diversa, meno dura e faticosa, anche solo semplicemente sognata.
In tutto ciò Verri è stato “impastato” sin dall’infanzia; l’ascolto di narrazioni semplici e complesse insieme, favolistiche, fantastiche hanno senza dubbio aiutato a costruire, costituire il “sé narrabile dello scrittore-poeta di Caprarica di Lecce se è vero quello che scrive Adriana Cavarero che “ ogni essere umano, senza neanche volerlo sapere, sa di essere un sé narrabile immerso nell’autonarrazione spontanea della sua memoria…”
La ricchezza, l’originalità, l’inventiva, l’estro dello scrivere di Antonio Verri passano anche per questa via.

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