martedì 24 marzo 2015

Per Antonio Verri, creatura a mezz’aria. E per chi ancora ne vede delle belle


 di Ilaria Seclì

È dolcissima la vita fuori dai centri di potere. Bianca di neve, tua neve, petalo di camomilla, marzapane, fiori di cotone. Neve di “mar”. Sue mani nell’impasto, bianchissimo letto per giorni sempre nuovi, giorni di madre e notti perfette, è sempre la prima. Inamidata. Decoro garbo cura. Dignità.
Ora, sai, è tutto stropicciato, sgualcito, precario ci fanno dire. Siamo a mezz'aria ma non siamo tao. Siamo in mezzo a un'aria beige, caffellatte, macchiata, lattesporco. Ma altrove è più scuro, ne sono certa. Le leggi della vita si sono incarognite. Ci siamo incarogniti.

[sempre in questi giorni cado dico parole strane di ferro rosso arrugginito me le mette in bocca il mondo: sequestro di stato, incostituzionale, ingiusto, restare. cado da anni, questo è il mese, i bambini non c'entrano, nemmeno la magia i prati i fiori il cortile gli alberi no, non c'entrano. nei corridoi asfittici obitoriali delle attese sindacali delle risposte tirchie avare mortifere sempre uguali. punti-ricongiungimenti-sostegni-figli e l'aria ferisce e non sfama che fame. se questo è un uomo di certo è suo nemico]

Ma torniamo al racconto, nostra sede. Torniamo a noi. Sappi però che Santa Maria del paradiso è sempre lì. Lo suo figliolo priso, continua. Sempre aperta porta, la lampada a guardia, accesa. Siamo in tanti.
Ieri zompettavi divertito, dal palco sui leggii, dalla loggia ai lampadari. Ridevi, inanellavi capriole e voli come trapezista e angelo sul cielo di Berlino. Ma era cielo di Novoli. Ed eri così felice. Ti hanno fatto un baffo le geografie, anche quelle estreme, alfa e omega. Le hai in pugno, il mondo è una biglia. Lo ripetevi mentre dondolavi a boccaperta sul lampadario. Il mondo è una biglia! È un’unica pista ciclabile, essere ovunque, qui. Essere qui, ovunque. Il mondo è un fiocco di neve! Sfera lucente! Provate provate, fate fogli di poesia, poeti, chiudete gli occhi, lucidate pupille bambine, ginocchia sbucciate, alberi da salire, universi da interrogare. Intrecciare, filare, aprire, dare. È uno solo il lampadario che fa luce. Stringiamoci come bimbi in attesa di Natale o estate. O morti che aspettano ancora un piatto, quello preferito. Ciciri e tria cu lli frizzuli per il nonno a San Giuseppe. Ancora, ancora.
Ti ho visto, sai?, mentre tiravi il naso a Mauro, i capelli a Piero. Aveva appena cominciato a parlare Imbriani e gli hai dato una carezza. Ti sei spostato poi sulle nuvole elastiche di SimonFranco e SimonMago, la barba dell'uno, i riccioli dell'altro. Ma come fai? Come hai fatto, sempre? Sulle corde celesti di Valerio i paradisi che conosci bene. Senza gravità. Mai. Leggerezza di bimbo fino alla parentesi chiusa. Chissà dove l'hai riaperta. E chissà se un giorno anche noi potremo sospenderci come pulviscoli, tao che vivono per vivere, beati e operosi solo nell'incanto di scritture e voci, incontri e sogni. Tra cose e creature sacre senza profitto, ansie, numeri e scadenze. Giglio. Giglio purissimo. Quei tabernacoli innocenti che sono i giorni dell'uomo senza cinture di sicurezza, prevenzioni, frizioni, tangenti o pizzi allo Stato. Senza maiuscole. Antonio mio, t'immagini come sarebbe bello? Senza titoli, definizioni, etichette. Vivere per vivere! Non queste palafitte in affitto, esistenze minori, belati soffocati al posto di ruggiti, accenni e balbettii per danze sfrenate, ebbre. Elemosina. Elemosina. Tu, tu, odore caldo di pane, rosmarino nella macchia verso l’Adriatico, fiero vento del sud teso, teso ai cuori in spazi bianchi di terrazzi e lenzuola nivee, siderali, mani e occhi spalancati. Cuore sacro. Vento che avvolge ogni cosa, nostra umana specie misera e divina. Te la ricordi così, così l'hai vissuta, voluta, vestendo da re attrezzo e detto, pietra e gioco, contadino, povertà.
Liturgia dell'incontro e del fare. Quanto conta il saper fare!
Monello sì, fatto purissimo tao, nuvola, zucchero filato, soffio di tarassaco, gazza. Sì, gazza. Tra qui e lì. Tra questa terra e milioni di altre, in volo, in fuga, in corsa.
Zoretti all'uscita, mentre parlavamo d'altro, di arpie e alberi d'argento, di viaggi e corse al termine della notte, è piombato nel discorso col braccio alzato -in preda a furori decentrati, a estasi- “ho girato tutto il teatro, tutto!” dice vorticando il braccio alzato e lento. “Ci sono le poltrone del re! e dietro, una stanza con divani rossissimi!”. Rosse e grandi sedie dei re, le loro altezze non raggiungono quelle dei nostri scalini, pazzuli. Le altezze vertiginose non hanno metri adeguati a contarle.
Ma veniamo a noi, quindi al racconto, nostra sede. Ecco sì, sei d'accordo, lo so: non siamo solo parte di un racconto? Episodi, puntate, tracce, infiorescenze, gemme rinate a ogni primavera? come pietre sempre nuove per i pomeriggi a patuddhri! Me lo raccontano mamma e papà. Solo questo solo questo, non altro conta. Altro che accanimenti, vite dilatate come fossimo prolunghe, animali in pasto a carceri squallide o finemente arredate. Tu eri della strada, dell'acqua del fuoco, delle cose incontenute. Fino all'ultimo.
Com'eri allegro, saltellante ti sbracciavi sulle rose di Massimo, l'altra sera. Gialle. Le rose promesse, lasciate sulla scrivania del Fondo (Verri!) per la tua amica Ada. Santa Maria del Paradiso. È un mondo assurdo Antonio, ma ne succedono delle belle qui. Ancora. Ancora.

sabato 31 gennaio 2015

La cultura dei tao e la memoria contadina in Antonio L. Verri


La cultura dei Tao in una fotografia di Santa Scioscio



di Oronzina Greco

La scritto “ La cultura dei tao”, del 1986, composto per il catalogo pubblicato in occasione della mostra La cultura contadina” curata dal distretto 42 di Maglie, mi spinge ad interrogarmi su quanto Antonio L. Verri abbia preso e interiorizzato dalla cultura contadina nella quale era nato e cresciuto (a Caprarica in provincia di Lecce).
 C’è, in questo testo(dalla scrittura piana e di agevole lettura) , la nostra gentecon le sue aspettative e le sue malinconie,la madre con i suoi ammalianti racconti e i luoghi con le loro misteriose bellezze, popolatida esseri fascinosi e dispettosi. La gente di qui viene definita da Verri “ stupenda” e presenta “l’umore di questa terra, ad essa confida i suoi mali, le sue gioie, i suoi dubbi, le sue ondulate tristezze”. I luoghi sono “paesi che sembrano piantati tra gli ulivi, paesi dai pozzi profondi, dalle infinite cisterne per grano, per olio, per tutto…”.
Cito solo questi, ma diversi sono i passi che parlano di gente e luoghi e la sensazione che ne ricavo, leggendo ciò, è che Antonio abbia colto il senso profondo della terra che influenza e plasma il pensiero degli uomini e soprattutto il pensiero di chi sa raccogliere, custodire e far rivivere echi e segreti che essa racchiude.
Dalle narrazioni di questa gente, egli coglie lo spirito autentico e profondo, il valore immenso e immutabile, il respiro della terra e lo fa diventare mitico.
La vita del piccolo paese contadino di Caprarica di Lecce, archetipo della vita di tutti i paesini, specialmente del Sud, in un certo senso lo ispira. Egli osserva e descrive tutto: gli ulivi, i rigidi inverni, il pane fatto in casa per distribuirlo il giorno di Sant’Antonio, la doppia cotta di pane per i matrimoni, la fiera di San Marco, le squadre per la monda… Da tutto questo prende l’avvio e, su questo, Antonio Verri costruisce, costruisce il nuovo.
Dalla letteratura di questa gente egli prende “pane” e nutrimento per la mente, per farlo crescere e vivere in altri posti e contesti, per creare stupore e organizzare eventi che aggregano e fanno discutere. “Carismatico tessitore di nuove trame di fili rosso Salento” dice di lui Raffaele Nigro in un articolo su “La Gazzetta del Mezzogiorno”.

Osserva e ascolta! Ascolta i racconti, le storie di questa cultura contadina, la quale comunica con la forza, l’efficacia, il colore e il calore dell’oralità senza la mediazione della scrittura.

Scrive Verri: “Durano conti…Parole rugose, cantilenanti, sogni, costruzioni le più audaci (da far impallidire scrittori di professione)… Ecco, durano i conti… e ci sarà sempre un povero favolista a narrarvi di un cuecolo di neve che molto tempo fa dei ragazzi festosi, goliardi, furenti, cominciarono ad appallottolare nella piazza bianca” .
Nelle affabulazioni e con le affabulazioni, in questa cultura, passa anche la vita vera perché, oltre la durezza del lavoro, il sudore della fronte e il sacrificio, c’è sempre la ricerca di un “altrove”, c’è sempre, in questo universo, la tensione di una ricerca, pur nell’apparente immobilismo, fosse anche solo per mitigare un’esistenza grama e difficile, per rendere più accettabile la fatica del vivere quotidiano.
Cogliere, respirare, vivere, interiorizzare le storie di questo mondo contadino attraverso la madre perché “è lei la depositaria, è lei la rappresentante di questo mondo” è stato naturale, per Verri, nel tempo della sua infanzia e adolescenza così come è stato naturale far tesoro di tutte le storie che “sono cariche di quella lusione, …storie intorno al tavolo, col fuoco, …” e recuperarle, trasfigurandole, e inserirle, mitizzate e trasformate, metaforiche e nascoste, negli scritti successivi.
Osserva, ascolta, trasforma. Crea sogno e immaginazione.
“Parlava, la mar, di freddo, di neve, mi raccontava la storia dei tre giorni della merla…io ci legavo il pane, la meraviglia della pasta che cresceva”.
La cultura della madre che è la cultura del mondo contadino di questo nostro Salento dell’altro ieri, conserva e tramanda, accanto ad elementi di vita materiale, anche elementi  favolistici come i tao, spiritelli che vivono a mezz’aria, buoni e dispettosi che incutono leggeri timori ma anche rispettose riverenze, elementi di cui ci si fida e che sono dappertutto: sui comignoli delle case, vicino al fuoco, sui campanili dei paesi. I tao, accompagnano anche le storie dei “narratori di cunti”, le quali mitigano il dolore, i dolori della gente comune,  facendola volare con la fantasia  verso una vita diversa, meno dura e faticosa, anche solo semplicemente sognata.
In tutto ciò Verri è stato “impastato” sin dall’infanzia; l’ascolto di narrazioni semplici e complesse insieme, favolistiche, fantastiche hanno senza dubbio aiutato a costruire, costituire il “sé narrabile dello scrittore-poeta di Caprarica di Lecce se è vero quello che scrive Adriana Cavarero che “ ogni essere umano, senza neanche volerlo sapere, sa di essere un sé narrabile immerso nell’autonarrazione spontanea della sua memoria…”
La ricchezza, l’originalità, l’inventiva, l’estro dello scrivere di Antonio Verri passano anche per questa via.

domenica 25 gennaio 2015

Un libro parlante per i tao



La cultura dei tao, in audiolibro
Spagine – Fondo Verri edizioni, Lecce 2014
Ada Manfreda *

È una vera chicca editoriale questa: perché ripubblica un testo di Antonio Verri del 1986 che è semplicemente magico; perché è un libretto che ha una veste grafica di gran gusto nella sua essenziale bellezza; perché è un ‘libro parlante’ con le belle voci di Angela De Gaetano, Simone Franco, Simone Giorgino e Piero Rapanà che smontano, rimontano, combinano il testo, accompagnati dalle musiche
di Valerio Daniele. L’ascolto della versione in audiolibro amplifica la musicalità del testo di Verri e quella sua atmosfera di sospensione, nel gioco di passato e presente ma anche di figure e simboli della cultura della terra e della povertà salentine, la cultura dei contrasti, umile e sorprendente, aspra e poetica, sempre un misto irrisolvibile di tragicità e tenerezza estrema.
La pubblicazione tutta, nel suo insieme, è un atto di cura, attento, delicato e amorevole, di Mauro Marino per Antonio Verri e per la sua scrittura. E già questo emoziona.

Cosa sono i Tao? Verri ce lo dice nel “Dizionarietto dei termini magici, nuovi o non comuni” con cui pensò di corredare il suo scritto: “Tao: folletti dell’aria, della mezz’aria anzi; c’è dentro il salentino mao, il veneto bao, tanto altro…”. La scrittura di Verri in quest’opera è straordinaria: suona e fabbrica immagini, reali, fantastiche, verosimili. Ma sempre capaci di farti sentire un Salento contadino, quasi oramai del tutto scomparso, commovente. E poi c’è sempre Lei, alla ripresa di ogni nuovo pensiero, dopo pochi giri di frase, sempre Lei, che ritorna continuamente, lo accompagna, gli corre accanto, la donna che è tutto per lui, la madre, la mar, lei. “Quando stavo con lei, figlio com’ero di una dea dell’aria, quando camminavo con lei, non c’era necessità di sprecar parole, erano gli occhi a raccontare, era negli occhi che riuscivamo a fermare, in un attimo di mille parole, gli eccessi, gli scoppi, lo smorire, la meraviglia…” (p. 28). La cultura dei tao è un dire tutti i luoghi d’emozione e di narrazione che la cultura contadina gli ha donato, il suo personale dialogo “con la terra, con una realtà di volta in volta essenziale, lineare, un po’ amara, un po’ magica… Molte le cose che da simile cultura (magra, fatata) ho avuto” (p. 18). Che è necessariamente un dialogo con la terra-madre, con la sua mar, con ciò che lei gli ha donato: “La letteratura della mar era il narrare dei sogni il mattino dopo, degli idoli suoi, i morti, che venivano a trovarla – fresca, mai turbata, come fosse un altro sorriso,
un altro abbraccio alla sua gente…” (p. 25). La cultura dei tao è un’opera che va conosciuta. E credo che non vi sia modo migliore per avvicinarsi e fruirne che quello di leggerla e ascoltarla nella edizione che ci propone Spagine – Fondo Verri.



* Amaltea Trimestrale di cultura, anno IX/ numero quattro, dicembre 2014

mercoledì 21 gennaio 2015

La cultura dei Tao per Spagine




La Cultura dei Tao
un audiolibro da Spagine – Edizioni Fondo Verri per presentare
il “pensiero” del poeta, scrittore e operatore culturale salentino Antonio Leonardo Verri.
Con l’introduzione di Eugenio Imbriani.
Per le voci di Angela De Gaetano, Simone Giorgino, Simone Franco, Piero Rapanà, Alessia Tondo e i suoni di Valerio Daniele.
La cura editoriale di Mauro Marino e la grafica di Valentina Sansò.

***

 “La Cultura dei Tao” - il testo che Spagine – Edizioni Fondo Verri ripropone come audio-libro - è stato pubblicato la prima volta nel maggio del 1986, ad introduzione del catalogo della mostra fotografica itinerante “La cultura contadina”. L’iniziativa fu promossa dalla Scuola Media II° nucleo del Distretto Scolastico n°42 di Maglie (presidente il professor Giuseppe Chiri) e dalla Regione Puglia - Assessorato alla Pubblica Istruzione. In una nota del catalogo i curatori si ringraziano il signor Giuseppe Bernardi che mise a disposizione, per le fotografie, il materiale del Museo della Civiltà Contadina di Tuglie. Coordinatore del progetto fu Pino Refolo, le foto furono realizzate da Yellow Serigrafia di Maglie, la stampa fu a cura della Litografia Graphosette s.r.l. di Taviano.

La cultura dei Tao è un testo fondante per chi vuole conoscere la materia visionaria di quest’uomo nato in questo Sud d’Oriente, a Caprarica di Lecce il 22 febbraio 1949. Il 9 maggio del 1993, un incidente stradale lo tolse alla vita e alla sua famiglia e ai suoi tanti sodali, divenuti orfani di quel Naviglio che tutto poteva contenere. Lo tolse alla Madre - la Mar – celebrata nella Cultura dei Tao -  nell’incessante dialogo che fa la terra culla del cercare

La riedizione del prezioso testo introdotto da Eugenio Imbriani, unitamente ad un cd-audio registrato e sonorizzato da Valerio Daniele per le voci degli attori Angela De Gaetano, Simone Giorgino, Simone Franco e Piero Rapanà e della cantante Alessia Tondo, nasce con l’intento di tenere viva l’attenzione su Antonio Leonardo Verri, sulla sua straordinaria e tragica vicenda umana e sulle sue parole soprattutto.
Antonio L. Verri cercava il filo di una letteratura possibile “fatta di fole e di angiolesse, di orchi benevoli, di tao…” la sostanza della cultura contadina di un Salento sempre sospeso tra realtà e magia.