giovedì 30 maggio 2013

Verri e il Sindacato Nazionale Scrittori

 
Aldo De Jaco, Antonio Verri,  Nora, Maurizio Nocera e  Ivana  Slavona
in una fotografia di Fernando Bevilacqua
L'impegno contro il mercato delle lettere
di Maurizio Nocera

Il Sindacato Nazionale Scrittori (SNS) è stato sempre presente in Salento, grazie al fatto che Aldo De Jaco, uno dei suoi fondatori fin da subito dopo il secondo dopoguerra, era di queste parti, per l’appunto nato a Maglie, poi, bambino, si trasferì con la famiglia prima a Napoli, successivamente, dopo sposato, a Roma, dove svolse per decenni l’attività di giornalista.
Per più di 30 anni Aldo De Jaco fu segretario generale del SNS. Quando, negli anni ’70, toccò a Rina Durante (spesso coadiuvata da Gino Santoro) rappresentare il SNS in Salento, fece ogni possibile sforzo per cercare di far crescere il sindacato. Per una breve parentesi anche Enzo Panareo fu coinvolto nell’organizzazione finalizzata alla crescita del sindacato. Ma chi più di tutti profuse le sue energie per questo tipo di organizzazione sindacale fu Antonio L. Verri il quale, se pur alieno a qualsiasi tipo di struttura gerarchico organizzativa, per anni riuscì a tenere in contatto il centro romano con la periferia salentina.
Verri riuscì ad organizzare il sindacato in Salento a partire dal XIV congresso nazionale (1988), rappresentandolo fino al XVI (maggio 1991). In quest’ultimo congresso fece pure parte della Commissione politica, all’interno della quale svolse un ruolo importante riuscendo a far inserire nel documento politico un tema a lui molto caro, cioè la difesa delle minoranze etniche. Ovviamente il suo sguardo era rivolto al greganico salentino. Ecco il punto del documento in cui Verri contribuì: «In anni di confusione, di incertezza e di rischi dì imbarbarimento culturale, sia a livello nazionale che mondiale, quelli che erano ieri i problemi delle minoranze linguistiche e culturali stanno investendo nazioni intere, come l’Italia. Si sta imponendo, infatti, una lingua “senza qualità”, indotta dall’impoverimento di massa della parola».
Ricordo come se fosse ieri la nostra partecipazione a quel congresso, che si svolse presso la scuola sindacale nazionale della Cgil ad Ariccia, il 30-31 maggio 1991. La delegazione salentina era composta da Antonio L. Verri, Fernando Bevilacqua, Fabio Tolledi e chi qui scrive. Nonostante che il Verri e il Bevilacqua facessero di tutto per essere presenti solo l’essenziale alle diverse sedute del congresso, ugualmente però Antonio riuscì a dare il suo contributo al dibattito attraverso degli incontri che tenne direttamente con Aldo De Jaco.
La sua prima preoccupazione la rivolse alla richiesta di un disegno di legge parlamentare per la difesa della lingua grika assieme ovviamente alle altre lingue cosiddette minori, come la sarda, il ladino, l’arbresch, ecc. Nei lavori di commissione Verri intervenne per criticare il mondo politico che si dimostrava inadeguato nella difesa della lingua nazionale e inadempiente nei confronti del lavoro degli scrittori. Nonostante che anche lui usasse parole di provenienza anglosassone nei suoi differenti progetti culturali, i suoi interventi all’interno del SNS furono comunque critici verso l’uso indiscriminato di parole inglesi nella lingua nazionale. Si dichiarò sempre contrario alla cultura dell’indifferenza, soprattutto da parte di alcuni scrittori altolocati, a causa dei quali in Italia c’era una prevalenza inopportuna del mondo editoriale rispetto a quello degli autori.  
Più volte criticò la legge fascista sui diritti degli autori, purtroppo ancora in vigore, che dava adito ad una vera schizofrenia nel mondo dell’editoria italiana, all’interno della quale gli editori da sempre hanno fatto i comodi loro, mentre gli autori sono stati costretti a girare come vagabondi tra le diverse case editrici per proporre un loro testo. Per Verri, come d’altronde per l’intero SNS, occorreva fare una legge a difesa degli scrittori. Vecchia tematica questa, che ci aveva visto spesso dibattere anche qui in Salento. Non poche volte Verri era intervenuto per dire che lo scrittore in fondo altro non è che una sorta di prestatore d’opera, in fondo un lavoratore dipendente non solo da una casa editrice, quando tale casa editrice lo ha scelto come suo autore, ma anche dipendente dal contesto sociale in cui vive e opera. Per lui la funzione dello scrittore era prevalentemente sociale.
Su questi temi non dimentico un dibattito con Verri e De Jaco, in casa di quest’ultimo a Maglie. Per il Verri le idee e gli ideali, filtrati nell’opera degli autori (poeti, narratori, artisti della parola e dell’immagine) dovevano essere più che mai necessari più che nel passato contro ogni forma di appiattimento culturale, per cui l’impegno dell’organizzazione degli scrittori doveva svolgersi nella lotta per la difesa della sua funzione sociale: lo scrittore non doveva essere succube dell’editore, ma doveva vedere quest’ultimo come una sua controparte, dalla quale esigere il rispetto dei contratti e dei diritti. Per Antonio, lo scrittore è colui che testimonia il proprio tempo. Nelle nostre società, tecnologicamente avanzate, è attraverso l’opera dello scrittore che è possibile leggere il passato. E a questa funzione Verri teneva molto. Per questo motivo, egli si faceva in quattro per non mancare ad un appuntamento culturale o ad una presentazione di un libro.
Spesso se la prendeva con il povero De Jaco, che nulla centrava, perché anche lui lottava con noi e più di noi, per chiedere al governo italiano l’istituzione di una commissione nazionale governativa e parlamentare per la difesa del libro e quindi della cultura in generale. È noto che l’Italia repubblicana, a differenza di altri paesi, non ha mai avuto un ministero della cultura, e questo era un fatto che irritava enormemente Verri. Per lui era importante che questa tematica fosse sempre presente nel SNS, perché significava essere presenti nella difesa della creatività dello scrittore. Diceva – e questo lo ha anche scritto – che la funzione creativa e sociale dello scrittore era il punto cardine della sua operatività. Lo scrittore doveva essere libero nella sua azione e spregiudicato nel rischiare tutto quello che c’era da rischiare per abbattere le forche caudine dell’appiattimento culturale. E non dimenticava di dire – ma anche questo lo ha scritto – che la funzione sociale dello scrittore fondamentalmente è portatrice di liberazione da veti, tabù e dipendenze di chicchessia. Per Verri lo scrittore non era un soggetto corporativo, perché doveva essere propria la sua funzione sociale ad impedirglielo. E non si dimenticava di aggiungere: “salvo eccezioni”.
Il suo impegno sindacale fu sempre contro il mercato delle lettere, cosa che, purtroppo, si è venuta a verificare in questi ultimi vent’anni di disastro letterario. Odiava a morte quelli che consideravano il libro come un oggetto di consumo. Per lui, lo scrittore doveva essere una sorta di tecnico della parola e servirsi di essa per fare opera di coscientizzazione culturale.

martedì 28 maggio 2013

Antonio Verri e il fare rivista

Antonio Verri con una copia del Quotidiano dei poeti 
 attraversa un'opera di Umberto Palamà
in una fotografia di Fernando Bevilacqua virata in giallo


Per un’etica della letteratura. 
Antonio Verri e le riviste letterarie
di Simone Giorgino

L’engagement, la letteratura intesa come militanza attiva, partecipazione e operatività culturale emerge in maniera netta nell’attività da pubblicista di Antonio Verri, sempre contraddistinta da una robusta verve polemica.
Parlando di sé in terza persona, in un numero del suo “Pensionante” Verri scrive, senza troppe ritrosie, di un caustico “omino curioso” che “odia l’affettazione, l’ostentazione di cultura, gli epigoni, i tecnici di quasi tutto, i poeti e gli scrittori domenicali, gli editori colmi di vasellina, questo grosso quasi-bordello letterario nazionale (e poi man mano […], locale e particolare) segnato da una scrittura caramellosa e distratta, dalla fretta, dal perbenismo, dal ‘lei non sa chi sono io’”.
Tra il 1977 e il 1993 Verri si fa promotore di numerose riviste e fogli letterari, in una frenetica e generosa attività che si fonda sull’intenzione di traghettare la cultura e le lettere salentine fuori dagli angusti confini provinciali. L’ossessivo spauracchio dell’isolamento culturale è, per Verri, sempre incombente, ed egli cerca di aggirarlo ricorrendo, a volte, a soluzioni francamente poco convincenti come, ad esempio, l’internazionalizzazione delle corrispondenze con interventi di autori spesso oscuri ma dai nomi esotici, provenienti dai più disparati Paesi europei e sudamericani.
Più efficace, perché basato su più solide competenze, è il proposito di tutelare il patrimonio letterario locale attraverso meritevoli interventi volti alla valorizzazione di autori come Vittorio Pagano, Rina Durante e Salvatore Toma. 
Proprio a Toma, il “poeta dei liburni e dei corbezzoli”, Verri dedica, in tempi non sospetti, cioè prima del drammatico suicidio e della successiva e frettolosa riscoperta, numerosi articoli e recensioni. Verri ebbe una sincera ammirazione per lo sfortunato poeta magliese, testimoniata non solo dai frequenti cenni disseminati in molte pagine delle sue opere (“Totò Franz” è il nome che inventa per ricordarlo), ma anche da un esplosivo e interessantissimo carteggio fra i due, parzialmente documentato in due pubblicazioni curate da Maurizio Nocera, Dieci anni in rivista  (Matino, Banca Popolare Pugliese, 1990) e Totò Franz altrimenti detto Totò Toma (Amaltea, 2002).
Attraverso l’esperienza delle riviste, Verri mette in pratica un preciso progetto culturale e letterario, fondato sull’etica della militanza intellettuale. In un suo articolo apparso sul “Quotidiano” si legge: “Il poeta ha una sua funzione sociale: mettersi o mettere continuamente in discussione dogmi, tabù, cretinerie quotidiane e grossi problemi […]. Il poeta non lavora più, o magari solamente, sul nulla o sull’assenza, temi sempre affascinanti ma un po’ vecchiotti; il poeta ha sempre di più responsabilità e problemi di linguaggio, di stile, di aderenza a una realtà abbastanza complessa, di tensione, di rivolta”.
Per espletare tale funzione, il poeta ha bisogno di un opportuno “megafono”, ossia di una rivista letteraria che gli possa servire da cassa di risonanza: “Una rivista seria di letteratura, come io la intendo - scrive Verri -, deve muovere un bel po’ di gente, di idee, stimolare compagni e non compagni, agire, combattere dove sono ubicati i ‘palazzi’ […], per una letteratura di rancore, gomito a gomito, per combattere le ‘poetiche’ ufficiali, i mali dentro, i clientelismi culturali”.
È, questa, una linea programmatica che Nicola Carducci riconduceva al “neoimpegno”, un atteggiamento tornato di moda nella letteratura italiana a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta e finalizzato, nel caso di Verri, ad un intervento fattivo nella realtà culturale e sociale del proprio territorio.
Verri si sente parte integrante, erede e animatore di una comunità letteraria orgogliosa di essere borderline, se per allineata si intende quella cultura ossequiosa col potere editoriale, incline al compromesso; una comunità  di “poeti che appartengono a una specie diversa, a volte primitiva e barbara, a volte così fine, meticolosa, spigolosa. Facile a perdersi, a divorare, a disperarsi. Non è difficile aver simpatia per loro”.
Questo concetto è ribadito in altre sedi con immutata foga “agonistica”: “Si è parlato di una nuova generazione, di una stupenda generazione, si è anche cercato di dimostrare che il tutto non è una frase fatta, si è fatto di tutto per far intendere che il Salento degli Autori non è più il Salento scrostato che è sempre stato, si è fatto di tutto per far intendere che siamo semplicemente in marcia per cercare di allinearci a tutta quella cultura europea novecentesca che fino a mo’ era nei nostri libri o svolazzante sopra le nostre teste.”.
Ciò a cui Verri allude (e aspira) è una comunità letteraria agguerrita, competente e competitiva, che non vuole proporsi come sterile parodia delle analoghe esperienze nazionali ma che cerca di sintonizzarsi con le tendenze più innovative della cultura europea al fine di “muovere un po’ le acque in una città, Lecce, divorata dall’indifferenza, dall’incultura, dal vuoto accademico. Una città dove passa solo un certo tipo di cultura. La cultura dei putti e delle damine. Del ‘perbenismo impellicciato’”.
Un bozzetto di questa irriverente, e per certi versi eroica e selvatica stagione della letteratura salentina - con cui è indispensabile, oggi, tornare a confrontarsi -, è tutto in questo emblematico aneddoto, che rappresenta un po’ il termometro del clima culturale a cui Verri si riferiva: “Certo eravamo molto fieri del nostro lavoro quando la Corti, venendo a Lecce nell’ottantadue–ottantatré, chiese al bar Alvino dove poteva trovare i poeti di Caffè Greco. Le risposero piuttosto seccamente. A Lecce non c’erano poeti, men che meno di Caffè Greco!”.

sabato 25 maggio 2013

Le Ms blu

Le MS blu nel pacchetto duro erano le sigarette preferite da Antonio Verri

NON CI SONO PIU’ QUELLE FABBRICHE DI SIGARETTE
di Maurizio Nocera
Ne sono certo, accadde nel dicembre 1992. Con Antonio Verri ritornavo in macchina da Roma. Galeotta era stata una riunione del sindacato scrittori.
La notte precedente l’avevamo passata da Aldo De Jaco, nella sua casa di Monte Mario. Come sempre, io avevo dormito profondo. Di lui, al mattino, assieme ad Ivana Slavova, la moglie bulgara di Aldo, avevamo saputo che tutta la notte Verri aveva tenuto in camera la luce accesa e che forse non aveva chiuso occhio. Scherzammo un po’ di questa abitudine di Antonio, ma il vederlo comunque fresco in viso, ci fece dimenticare la stranezza e, come stabilito, dopo colazione, partimmo per Lecce.
Era un tristissimo inverno, e noi correvamo verso i luoghi del nostro incanto, verso le origini dalle quali non avevamo saputo separarci, verso nostra (ovviamente più sua che mia) madre che, in pena, ci aspettava per raccontarci di quella volta in cui ci cucinò i “disperati” (una specie di pastetta fritta condita con olive e intruglio di pizzaiola) e noi, furbi, andammo a nasconderci nell’ammezzato.
Ad un certo punto della corsa verso il Sud, cominciammo a parlare di «Caffè Greco», delle cartelle d’autore «Abitudini», della ricerca di un editore per I poeti del ‘Pensionante’. Antologia di una rivista del sud Europa, della continuazione del libro Dieci anni in rivista. Lettere 1989-1992, del suo nuovo libro inedito Le nuvole e l’arcolaio, ma anche di un libro di ritratti fotografici con un testo suo e con le foto di Fernando Bevilacqua.
Sicuramente Antonio parlò anche del Declaro, di questo tormento della vita, questo “suo” libro dei libri. Ci pensava sempre, giorno e notte. Altro pensiero la ristampa de Il pane sotto la neve. Poi altro ancora. Ecco.
Correvamo verso il Salento, terra amata, impastata di miti e di riti, terra di suoni di magia, di mesar-lì e di arsapi scurnusi, che con gli animali della possessione avevano avuto sempre a che fare. Terra della taranta, del ragno tessitore di ogni cosa, della vita come della morte. Anche Antonio aveva “lavorato” per la Tarantula lycosa, in tempi lontani, quando ancora si firmava, agli inizi degli anni ‘70, Regino Renard. Aveva dipinto un quadro, una grande maschera di un arsapo salentino posseduto dalla tarantola, animale che ricopriva (e ricopre) l’intera tela. 
Verri era già un fiume in piena, una babele di parole, una sorgente di forme colosse, una fornace di betisse scollacciate; un tornado su terreni di creatività eccessive. Grande camminatore, macinatore di chilometri su chilometri, mantice che gonfia la sua mongolfiera di carte, fotografie, ritagli di giornali consumati, di penne di ogni colore, di appunti scritti su ogni dove, anche sui tovagliolini del bar, di nomi e di cognomi di amici, di poeti, di altre cose, di altre storie, pronte per spiccare il volo dalle pagine dei suoi quadernetti dalle copertine variopinte.
Antonio era pure biblos, bagliore, rotolo, carta colorata, coriandolo celeste, scarti tipografici, uomo coreutico che danzava camminando, funambolo ballerino, saraceno pensionato e quindi turco stonato. Altro ancora. Forse. Io non so. So solo della dolanza del suo corpo, della stramberia dei suoi occhi, della struggenza del suo sguardo.
Una volta, tra il sorriso di miele e l’occhio buono triste, mi disse: «Suvvia, professore, non prendertela. Così è la vita. E così è pure la morte. Comunque, tu manterrai gli impegni presi. Una volta che io sarò morto, di tanto in tanto mi porterai un pacchetto di Ms-blu dure in quel posto che tu conosci: a Badisco, tra il recinto delle pietre antiche e la scogliera, davanti al mare e alla luce splendente del sole che nasce. Ciao».
Antonio Verri dal Tabaccaio, a Muro Leccese la sera del 24 aprile 1993
in una fotografia di Fernando Bevilacqua
Sono un po’ triste oggi. Sono passati vent’anni da quando Verri non c’è più, e si avvicina quel fatidico 9 maggio in cui egli spiccò il volo verso quell’alto che più in alto non si può. Sono alla ricerca di un pacchetto di sigarette, quelle da lui fumate. In punto di morte mi aveva chiesto di portargliele di tanto in tanto. Da anni le cerco. Tutti mi dicono che le fabbriche di quelle sigarette hanno chiuso.
Lecce, Gennaio 2013

La pagina de Il Paese nuovo del 20 gennaio 2013
con l'articolo di Maurizio Nocera

mercoledì 22 maggio 2013

La cultura dei Tao, Antonio Verri (1986)



Antonio Verri disteso sulle mura messapiche di Muro leccese
in un fotografia di Fernando Bevilacqua

Il testo qui presentato è tratto da “La cultura contadina”, catalogo di una mostra fotografica, Distretto scolastico 42, Assessorato alla Pubblica Istruzione della Regione Puglia, realizzata nel maggio 1986, la versione pubblicata è quella apparsa sui Quaderni del Fondo Alberto Moravia, Numero 1, Anno 2002, con scelta dai termini del Dizionarietto da Musicaos.it – Anno 2, Numero 18, Giugno 2005.

Le pagine de Il Paese nuovo del 16, 17,18 gennaio 2013 con la Cultura dei Tao

La cultura dei tao
 
a Damiano Stefano

"Era ancora luna chiara di gennaio, giovane luna. Il freddo di quell’inverno tagliava le gambe. A casa c’era poco. Voi figli uscivate coi pantaloni gonfi di fichi secchi, le domeniche le passavamo con della pasta d’orzo, con bocconi che m’ingegnavo d’insaporire per voi signorini seduti su sedie altissime. Qualche volta cuocevo sciscèri di pollo, qualche altra volta si ammazzava una pecora che stava male, poi c’era il pane cotto e il lardo che tutto condiva…
Era questa la vita e voi avevate grandi occhi da birbanti…solo tu, ecco, imbronciavi un po’ più spesso sui carrettini che da me ti costruivo…
L’inverno fu tristissimo quell’anno. Non era ancora febbraio ed era già bella e finita la scorta della monda".
La madre. La mar. La scorta della monda. Cioè, grossi rami inutili ma soprattutto le giovani cime, a colpi di forbice e serracchio, per impedire la crescita, per impedire quell’avanzo in armonia di un albero bello sì, temerario sì, ma senza frutto.
"Se no dà in furia", dice la mar. Col tremore di chi di quella furia è madre.
 

Caprarica di Lecce, 30 Aprile 1986



Tanto ho appreso, altrettanto mi è stato insegnato. Mi è stato insegnato, per esempio, che per molti fiori di giardino esiste un corrispondente selvatico: e allora ho scoperto che mi era caro il profumo del secondo dei due tipi di ciclamino, rose, mimose, margherite…
Mi è stato insegnato – ma poi l’ho sperimentato da me – che vivendo, stando quanto più possibile lontano dal nulla, non si può fare a meno della saggezza e del piacere curioso dei proverbi, dei mille proverbi che dalla terra nascono; che i proverbi aprono al mondo, a variegate realtà, che niente c’è di tanto misterioso, di tanto affascinante, di tanto poetico, quanto un proverbio che si dipana al punto giusto, al posto giusto; che attraverso i proverbi è tanto magica, tanto plastica l’interpretazione del mondo che niente, nessuna cosa sulla terra, mi è parsa, mi pare così naturale, così saggia, così strapiena di candore…
 
Mi è stato anche insegnato, con ardore, ad apprezzare – ed io continuo a guardare e amare con tale ardore… – poveri oggetti (stilizzati, essenziali, ma solidi), situazioni le più umili, ma portate con tale dignità, che serenità, buon senso, innamoramenti al limite del pianto, sono cose che oggi io, figlio di questa cultura, posso opporre a volte con tale incauta destrezza da rischiare di bruciare, con legna d’ulivo, il sibilo lungo di una cultura millenaria…
 
Cambia, cambierà, di molto il volto della campagna, degli aggregati umani, di interi paesi: è cambiato dal dopoguerra ad oggi, cambierà ancora tra due, tre generazioni. E cambieranno naturalmente anche abitudini, modi di lavoro, rapporti…, ecco, quello che non cambierà mai sarà l’idea del dialogo con la terra che l’uomo ha stabilito dal tempo dei tempi, il grosso respiro, il sibilo lungo che si può udire solo di mattina, mirando nella vastità dei campi, con accanto sentinelle silenziose gli alberi d’argento…

Una conversazione sulla figura e l'operare di Antonio Verri

Ecco il link alla puntata di NetApprendere in cui Salvatore Colazzo e Antonio Errico

martedì 21 maggio 2013

Il grande libro


Antonio Verri dietro un vetro
ritratto da Fernando Bevilacqua in un viraggio in blu dell'originale in b&n

Dovrei ricominciare a dire di Pico, dovrei ricominciare in tutto quel bosco, dovrei ricominciare con la locanda, lo squalo, la nave, la città, le radici di giglio, dovrei ricominciare, dovrei ricominciare… Invece no. No. Cedo a Sally. Io in una notte, a Zurigo, ho soffiato una nave. Sally ha la vitalità di un arciere. E' una proiezione. Ha possibilità di scelta...Inutile stare a curare crescita, verticalità, suoni, passetti verso la lingua nuova. Bisogna far presto. Un mese in una sala da bagno può bastare. In questo giugno novantuno vorrei chiedere a Sally di divorare quella parte che in me s'è lacerata…
Sally sapeva di poter intrigare liberamente. Suo padre, il Vasaio, le aveva sempre parlato per magia, di avventure, delle cose meravigliose che aveva visto. Le sue rughe raccontavano. Verso i limiti del mondo. Incredibilmente. Forse questi prodotti verbacei, queste bosse grasse, sanguinolenti, lì lì per corrompersi, forse non erano altro che i pensieri e le sconnessioni di chi occasionalmente scendeva ad usare la sala da bagno, forse erano le ombre della non più salda perfezione, della bellezza così veramente difficile… Un grosso Libro brillava vicino alla guardiola del custode. Terre lontanissime, oggetti, l'opera che finalmente suonava, miliardi e miliardi di microscopiche vescichette giallo magenta, sospensioni nel Gran Moto Irregolare, caducità.
Chi poteva aver avuto l'idea di redigere su quel grosso librone, scampato a chissà quale distruzione di vecchia tipografia, tutto quel materiale, tutte quelle parole, tutti quei prodotti, tanti idiomi, che potevano benissimo essere una mappa meravigliosa del mondo, l'architettura segreta della vita? Il custode? No, di certo. Oppure. Forse. Sconcertava la vitalità in questi prodotti, la pretestuosità, l'occasionalità, il solitario impulso da cui certo venivano, forse la facilità di svelamento di un fatto, di un concetto, di una scena. Nulla di più assurdo, infatti, del rivelare, anche se nella luce artificiale di questa sala da bagno, le dissolutezze, le evasioni, la corsa verso il niente di un prodotto verbaceo o di un prodotto fecale, uniti spesso per via etimologica, per urto di radici, ma anche per esuberanza originaria, per flusso di rapporti sconosciuti. Sally rivedeva il Vasaio, suo padre, mentre continuava ad accarezzarsi la mano. L'opera cresceva. Solitaria. Sui lindi polsini della mia camicia. Allo sbriciolarsi, al marcire, all'infiacchirsi, stavo per opporre una sonorità regolata, una graduale perdita del senso delle cose.
(Antonio L. Verri, La salle de bain)

domenica 19 maggio 2013

Dicono la loro delusione, le rose

La città si consuma.

È lontana.

È vicina. Fabbriche, uffici, officine, cantieri, macchine, il corpo macchina, i corpi ciclopici, quelli essenziali, i corpi che sono solo dei cubi, una somma di nodi, di nodo in nodo - la città è continuamente generata e continuamente inghiottita dall'umore, dalla palta di un nodo gigantesco.

Gli intagli, il giallo che permane, la limmat che ripete il suo rumore, il principio, il flusso produttivo, la luminosa etichetta sprüngli che vigila sulla bahnhofstrasse, manifesti, transenne, dormitori, palazzoni aurei, nuovi materiali, linguaggi artificiali.

Dicono la loro delusione, le rose.
Non si aspettavano che una città nascondesse così tanti tesori.
Così alto il pino, così larga la terra, così piccolo il diamante.

(A. L. Verri, Bucherer l'orologiaio)

sabato 18 maggio 2013

Con gli occhi al cielo aspetto la neve. Antonio Verri, la vita e le opere



La copertina del libro edito da Manni

Rossano Astremo per Antonio Verri

di Francesco Aprile


“Con gli occhi al cielo aspetto la neve. Antonio Verri, la vita e le opere”, edito da Manni, è il lavoro biografico che lo scrittore Rossano Astremo dedica alla figura del poeta di Caprarica di Lecce nel ventennale della morte. L’opera di Astremo va al di là dei facili discorsi che negli anni hanno accompagnato l’analisi dell’opera verriana – spesso ridotta a semplice contorno in un dibattito che ha privilegiato una salentinità (e mi si passi il termine, citando lo stesso Verri), spesso provinciale, intesa come veicolo di furberie altre, obiettivamente estranee alla pratica letteraria, editoriale e relazionale del poeta di Caprarica. Il quadro che emerge coniuga l’aspetto autorale alla figura dell’operatore che negli anni di massima operatività ha avuto il merito di tessere relazioni importanti, tenendo unita questa provincia – “brutta gatta da pelare” perché “rarefatta” – facendosi veicolo di un network relazionale che ha avuto come mira quella di rapportare la realtà artistica del Salento ad altre, vicine e lontane, italiane e non, facendo leva sulla sua posizione umana e culturale che ha operato come collante, in un territorio difficile, da sempre caratterizzato da uno spiccato individualismo,  in un tempo non ancora segnato dal surplus comunicativo della nostra contemporaneità. Il “profilo” di Verri tratteggiato da Astremo ci appare come quello di un poeta profondo che nello scambio reciproco ha saputo fare poetica e prassi editoriale rigorosa, mostrando come in tale prassi abbia spesso anteposto la cura e la diffusione delle opere altrui. Questo lavoro ha indubbiamente il merito di porre l’accento su determinate questioni che in questi anni sono state spesso oggetto di ambiguità storiografiche e critiche. Il percorso di Verri, dunque, inserito sulla scia impegnata del meridionalismo di Vittore Fiore, si è nutrito, fra le varie cose, dei movimenti, delle teorizzazioni, delle operazioni corali di Francesco Saverio Dòdaro, fino a sfociare negli anni ’80, e primi anni ’90, in un intenso sodalizio poetico in cui Verri entrava come editore e co-curatore in una serie di collane editoriali d’avanguardia, internazionali, ideate dallo stesso Dòdaro (Compact Type. Nuova Narrativa, 1990; Diapoesitive. Scritture per gli schermi, 1990; Spagine. Scrittura infinita, 1991; Mail Fiction, 1991). A tal proposito risultano importanti le ripubblicazioni, all’interno del volume, della lettera di adesione di Verri al Movimento di Arte Genetica e la risposta di Dòdaro. L’analisi di Astremo colloca, credo in maniera definitiva, la posizione letteraria di Verri nel filone del postmodernismo italiano, indirizzandolo all’interno della stessa linea postmoderna barocca di Consolo e D’Arrigo. In ultima istanza, la speranza di Astremo, l’interrogativo che è anche proposito finale, riuscire a portare l’opera di Verri all’attenzione del dibattito letterario nazionale, attribuendo alla sua poetica il giusto posto nel panorama letterario del secondo novecento italiano.

Perchè non dedichiamo La Notte della Taranta a Verri?

Vent’anni fa moriva il Poeta di Caprarica

Oh Verri, che tu sia tarantato

L’impegno di oggi è quello di tentare una larga socializzazione
della sua opera di scrittore e di operatore culturale... 

La proposta: perchè non dedicargli l’edizione 2013
della Notte della Taranta?

Abbiamo cominciato già dall’inizio dell’anno a celebrare quello che abbiamo voluto chiamare Anno Verriano, per riattraversare la complessità dell’operare di Antonio Verri nel ventennale della sua scomparsa. Sinora abbiamo pubblicato nelle pagine del nostro giornale  contributi  su, di e con Antonio Verri.
Oggi, 9 maggio 2013, è il giorno della ricorrenza, il giorno della mancanza.
Noi, Antonio, continuiamo a sentirlo vivo, attraverso la sua scrittura e, in queste ultime settimane, attraverso le persone che da vivo lo sentivano fraternamente amico nell’operare. rilegendo le lettere  a lui rivolte che in questa pagina sono quotidianamente pubblicate a cura di Maurizio Nocera.
 *  *  *
Nei giorni scorsi una, di lettera, l’ho rivolta a Sergio Blasi e a Sergio Torsello chiedendo loro che l’edizione di quest’anno della Notte della Taranta fosse dedicata al Poeta di Caprarica. La rendo pubblica per spiegarne le ragioni:

Verriana
scritture, voci e suoni per ricordare un poeta

Abbiamo necessità di condividere un amore, quello per Antonio Leonardo Verri: una passione certa, consolidata in letture che ne confermano il valore ed un necessario nuovo transito di identità generazionale...
Per farlo abbiamo bisogno di uno sforzo grande e di un luogo grande per dare il giusto risalto a quella che riteniamo essere una delle figure centrali dell'identità culturale salentina e del nostro ultimo Novecento.
Un Novecento letterario e culturale che, in quell'artefice, ha trovato, e ancora trova, gambe per proiettarsi in questo nostro, nuovo, malandato Tempo.
Antonio Leonardo Verri è stato (e ancora è) “levatrice” di visioni e di sogni che affondando le radici nella gloria di Otranto, nella sua cultura di Terra e di Passioni, hanno potuto immaginare Guisnes la città - verriana - dove tutti i generi si mischiano divenendo "naviglio innocente", grossa lettera, unico corpo.
Il sogno del Declaro è adesso, è la macchina della memoria, è il PC.
Antonio Verri – il nostro tempo – il battito contemporaneo - l'ha solo presagito, l'ha raccontato per intero, mischiando lingue.
Le sue e quelle di quanti in lui si sono sentiti uno. Uniti in un agire che ha dettato le regole di un operare culturale ancora utile, anzi, ri-fondante di pratiche possibili nel presente.
Lui, è mancato prima, per farsi in noi "Profeta".
L'evento che immaginiamo possa essere attuato nella cornice del festival della Notte della Taranta  può avere varie dimensioni (si può, volendo, pensare (e facilmente realizzare) una mostra con materiale fotografico ed editoriale o un'opera multimediale che può accompagnare il festival... nelle sue tappe...
Si può immaginare, un atto di riepilogo di questo anno di ricordo all'ombra e nel rammarico dei vent'anni dalla scomparsa.
Oppure solo concertare un omaggio d'una sera, pensando però (oso!) di dedicare ad Antonio Verri (com'è stato in passato per altri interpreti della Terra Salentina) l'intero Festival dando il giusto risalto alla figura del Poeta e dell'Operatore Culturale con una nota in catalogo, la lettura di alcuni suoi versi in apertura del Concertone ed una serata a Lui dedicata con un recital e una conversazione...
Questa prima lettera può essere considerata un inizio di dialogo... per meglio "combinare" (parola di Verri questa...) la cosa...
In attesa di un vostro riscontro,
cari Saluti

Mauro Marino

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Ecco quanto chiesto, una vetrina, e che vetrina, per far sentire e raccontare di AntonioVerri al Mondo...
Noi torneremo da domani a riproporlo da queste pagine (e prossimamente in un blog che le raccoglierà), ogni giorno per tutto l’anno o meglio per tutto il tempo che ci è dato...

Lavori in corso

Creo oggi, sabato 17 maggio 2013 questo blog.